“Katana ore ya tsukiru made”

刀折れ矢尽きるまで Katana ore ya tsukiru made

Combattere fino all’ultimo respiro (lett. “combattere finchè non si rompe la spada e si esauriscono le frecce”).

Così recitava un motto Samurai, chiarendo in maniera inequivocabile quello che era il destino di un guerriero. Oggi queste parole possono essere di grande attualità, soprattutto per chi nella vita si impegna fino in fondo a perseguire un ideale, senza scoraggiarsi mai di fronte alle difficoltà.

I praticanti di arti marziali, in particolar modo, si ispirano oggi a quella che è l’eredità marziale classica, che ha portato con sé nei secoli non solo grandi principi, ma anche innumerevoli tecniche che un tempo erano un vero e proprio addestramento militare. Per comprendere il Bujutsu, dovremmo tornare indietro nel tempo, e abbandonare il suffisso –dou, pura espressione moderna di via marziale, e riprendere il suffisso –jutsu, espressione invece di derivazione classica della tecnica marziale.

Ecco dunque che dall’attuale Budou, ci ritroviamo catapultati nel Bujutsu, che nei testi è citato assieme al termine Kakuto Bugei (lett. arti marziali da combattimento). Una disciplina completa al servizio del guerriero, per affrontare una battaglia, e che comprendeva tecniche con armi e tecniche di lotta senza armi. La classe guerriera aristocratica del Giappone pre-feudale e feudale era rappresentata dai Bushi, i guerrieri classici giapponesi per eccellenza, al servizio dei daimyo e del Bakufu, il governo militare dello Shogun, in grado di usare diverse armi e tecniche durante le battaglie.

Dalle fonti più attendibili, i ryuu (antiche scuole marziali), si sa dell’esistenza di circa cinquanta discipline, insegnate nelle varie scuole per formare i combattenti. Nell’era Edo, si fa riferimento al Bugei Juhappan introdotto da Hirayama Gyozo, che tradotto significa “le diciotto specialità militari”. Tra queste, che variavano comunque da scuola a scuola rendendo inesatto qualsiasi elenco assoluto, troviamo principalmente le seguenti arti o tecniche: Iaijutsu (l’arte di sguainare la spada) Boujutsu (tecniche con il bastone lungo) Kenjutsu (scherma) Jojutsu (tecniche con il bastone medio) Naginatajutsu (tecniche con l’alabarda) Yarijutsu o Sojutsu (tecniche con la lancia) Shurikenjutsu (tecniche di lancio di oggetti appuntiti) Bajutsu (tecniche di equitazione) Juujutsu (combattimento senz’armi) Kyujutsu (tecniche di tiro con l’arco).

C’erano inoltre tecniche di strategia militare, medicina, arte dello spionaggio meglio conosciuta come Ninjutsu, fortificazione di castelli Chikujojutsu, attraversamento di corsi d’acqua con l’armatura Suijutsu, diversi tipi di lotte e molte altre discipline.  L’allenamento e la pratica incessante, rivolti ai membri della classe militare, servivano a ottenere un risultato ben preciso: la vittoria sul campo di battaglia. L’inquadramento storico del Bujutsu, in Giappone, si colloca tra il periodo pre-feudale e il periodo feudale.  Si sviluppò principalmente tra il XIII e il XVI secolo, periodo di incessanti guerre interne e di governi militari fuori controllo, e continuò anche nel primo periodo Edo, che invece fu caratterizzato da una dittatura di carattere aristocratico, e vide comunque il proliferare di diversi ryuu.Ognuno di questi, solitamente fondato da Samurai in ritiro dopo aver ricevuto il mandato da ispirazione divina, insegnava ai praticanti le proprie arti o tecniche marziali accompagnate da una disciplina austera chiamata shugyo. Ogni ryuu era inoltre caratterizzato dal rispetto di una rigida tradizione e basato su un tramando di generazione in generazione, e l’impronta data al praticante, era rivolta più che altro al combattimento.

L’ingresso in ciascuna scuola era consentito ai membri del clan di appartenenza, o nel caso di membri esterni, per quelle scuole che non erano legate a un clan, si formalizzava con una lettera di presentazione chiamata shokai (presentazione), scritta da qualche personaggio influente o comunque legato in qualche modo al ryuu.Il Bujutsu fu accompagnato in tutto e per tutto da uno stato di austerità, senza il quale non si sarebbero potuti formare i guerrieri.  Nel corso dei secoli, per quel che riguarda le arti militari, ci fu un lento cambio di orientamento, e il Bujutsu da disciplina totalmente militare, iniziò sempre più a prendere i connotati di un’arte mista dove iniziò a farsi strada lo sviluppo spirituale della persona, sebbene il cambio di rotta completo si ebbe appena verso gli inizi del XX secolo con la nascita del più conosciuto Budou moderno.Durante tutto il 1800, infatti, con il venir meno della classe combattente, iniziò il lento e graduale smantellamento del regime militare, che culminò nell’ottobre 1867 ponendo fine al Bakumatsu, periodo caratterizzato dagli ultimi anni del governo militare.In quell’anno ci fu il completo rovesciamento del Bakufu Tokugawa, e si diede il via alla progressiva scomparsa dei Samurai, che videro la loro fine definitiva nel 1876 con l’editto imperiale Haitourei, nel quale fu vietato l’uso delle spade in pubblico. Si giunse quindi ai primi segnali di modernizzazione delle arti marziali e allo stesso tempo a una progressiva riduzione dei ryuu.

Quelle poche scuole che riuscirono a sopravvivere, come per esempio la Scuola del Tempio di Katori conosciuta con il nome di Tenshinsho-den Katori Shinto Ryuu, considerata cultura intangibile e tesoro nazionale del Giappone, tutt’oggi, sono attive grazie al tramando di padre in figlio che ha permesso il mantenimento degli insegnamenti originali e la genuinità delle tecniche.

Qualcuno potrebbe chiedersi, e la domanda è lecita, come mai in queste scuole che sono sopravvissute fino ai giorni nostri ancora oggi si studia il Bujutsu? E soprattutto, cosa prova un praticante di Bujutsu nel praticare le arti a esso collegate?

Entrambe le risposte richiedono una minima analisi di fondo. In primis, va considerata la volontà di una nazione nel voler conservare un’arte nel tempo, affinchè non muoia, e in questo il Giappone è stato davvero attento. Inoltre, le arti classiche, hanno una forza d’impatto e di coinvolgimento davvero unica ed eccezionale. E ciò è dovuto al fatto che rappresentano qualcosa di antico, un fenomeno che è nato tanto tempo fa e ha attraversato secoli e secoli, consolidandosi e perfezionandosi fino a diventare un grande bagaglio culturale e di esperienza. Il fascino dell’antico è a portata di tutti noi fin dalle prime scuole, e lo si può sperimentare già con lo studio, per esempio, della storia, della musica o dell’arte.

Studiare ciò che è stato, i popoli che ora non ci sono più o che si sono trasformati, le antiche usanze, la vita di un tempo e gli usi e i costumi di chi ci ha preceduto, tutto ciò ha sicuramente un grande impatto emotivo su chiunque.  Nelle arti marziali, in aggiunta, il praticare le discipline del Bujutsu ti permette di rivivere emozionanti periodi storici dei quali si diventa inevitabilmente un protagonista di primo livello. Si entra a contatto con un patrimonio storico e culturale unico, che va rispettato e trasmesso alle generazioni future.

Questo è possibile, naturalmente, se il coinvolgimento è completo, e se da praticante si ci avvicina all’arte nel modo giusto, evitando cioè di trascurare quegli aspetti collaterali che, per esempio, impattano cultura, lingua e abitudini. Sarà poi la stessa propria passione a spingerci ad approfondire questi aspetti, a leggere libri, a guardare film in lingua originale, e a essere attratto da tutto ciò che riguarda i costumi e le usanze del paese originario dell’arte che si pratica.

In poche parole, un buon praticante di Bujutsu dovrebbe amare il Giappone, conoscere i kana, e mangiare il sushi.

Questa affermazione potrebbe far sorridere qualcuno, ma è una grande verità di cui non si può non tener conto in questo contesto.  Allora sì che il Bujutsu diventa uno stile di vita, e praticandolo, attraverso il proprio perfezionamento nelle sue arti, rivivendo nel proprio cuore il Giappone medioevale, diventando il praticante stesso il protagonista della sua continuazione e sopravvivenza anche ai giorni nostri. Un ruolo astratto, insomma, che però non è da poco, e che eleva emotivamente e nel contempo da una grande responsabilità di serietà e di onore. Si ha a fare con la storia, con tecniche e arti più grandi di noi stessi, con storie che ricordano i più grandi personaggi del passato del Giappone.

Alla fine ci si rende conto che il praticante stesso cambia, perchè quei grandi valori che eredita e che gli viene chiesto di portare avanti, si fondono con ciò che è già, facendoo diventare una persona migliore e più consapevole del proprio ruolo.

E questo è il segno più profondo che oggi il Bujutsu può lasciare a chi lo pratica.

[Articolo scritto da Ruggero dello Russo per SakuraMagazine]

Sorgente: Arti Marziali: L’Attualità del Bujutsu

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