I Samurai: ascesa, apogeo e declino

L’ascesa dei samurai come gruppo sociale iniziò nel X secolo, un’epoca che secondo la periodizzazione della storia giapponese corrisponde al periodo Heian (794-1185), caratterizzato dall’assimilazione della cultura cinese e del buddhismo.

Quest’ultimo era giunto in Giappone nella forma zen, che esaltava l’energia individuale e l’importanza di agire nel mondo, pur riconoscendone la sua vacuità. I fondamenti di questa filosofia influenzarono profondamente la cultura dei samurai, che la apprendevano sin da bambini. Uno dei primi samurai che si affacciano alla storia fu Raiko (948-1021), del clan Minamoto. Questo guerriero raggiunse la fama grazie alle vittorie contro banditi e ribelli, che in seguito diedero vita a leggende popolari in cui l’eroico samurai batteva nemici fantastici, come orchi e ragni giganti. Verso la metà del XII si arrivò allo scontro tra i due clan più potenti: i Taira e i Minamoto. La lunga contesa iniziò con la vittoria dei primi della guerra di Heiji (1159) e si concluse con la loro sconfitta nella guerra di Genpei (1180-1185). Questo periodo turbolento della storia giapponese corrisponde all’età d’oro dell’epica samurai. Le vicende dei suoi protagonisti, arricchite di imprese leggendarie, vennero infatti raccolte successivamente nel romanzo epico Heike Monogatari, “I racconti della famiglia Taira”, di un autore anonimo del XIV secolo. Uno dei grandi samurai della storia fu Minamoto Yoshitsune (1159-1189). Generale dell’omonimo clan, riuscì a sconfiggere le truppe dei Taira nei combattimenti decisivi della guerra tra i due clan. In una battaglia presso l’odierna Kobe, nel sud-ovest del Paese, Yoshitsune sorprese i nemici lanciandosi al galoppo lungo il pendio scosceso di una montagna. La sua vittoria fu schiacciante. Il 24 aprile 1185 si svolse la battaglia navale che decise le sorti della guerra di Genpei. Yoshitsune inflisse la sconfitta definitiva ai suoi nemici e centinaia di samurai del clan Taira preferirono suicidarsi lanciandosi in mare piuttosto che cadere prigionieri. La sua storia ebbe però un esito tragico. Nonostante le sue imprese gloriose, i tradimenti e gli intrighi lo fecero cadere in disgrazia presso il fratellastro Minamoto Yoritomo (1147-1199), leader del clan. Dopo una fuga lunga e sofferta, Yoshitsune non ebbe altra scelta che suicidarsi praticando l’harakiri. In realtà il termine più appropriato per riferirsi al suicidio rituale del samurai è seppuku, il suicidio onorevole, anche se in Occidente è diventato più famoso il termine harakiri (“sventramento”). Questa pratica, documentata dal 1180, consisteva nel procurarsi un profondo taglio nell’addome, da sinistra a destra e poi verso l’alto. Prima del seppuku, il samurai assumeva la tipica posizione della seiza, inginocchiandosi e mettendosi a sedere sui talloni, per assicurasi che il corpo non cadesse all’indietro ma in avanti, secondo l’onorevole tradizione dei samurai. Il rituale si concludeva con la decapitazione del samurai da parte di un uomo fidato. Durante il periodo Kamakura (che prende il nome dalla nuova capitale a sud-ovest di Tokyo), nel 1274 e nel 1281, un esercito di samurai venne inviato dal governo del clan Hojo per respingere gli invasori mongoli del Gran Khan Kublai.

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